Giada Di Lenardo

Campionessa italiana FIDAL
Specialità: lancio del disco
Categoria: cadette
Anno: 2001
Luogo: Isernia  
Giada di Lenardo, campionessa italiana del disco cadette 2001, impegnata in una gara del getto del peso a Udine.

Ciao Giada, i tuoi inizi tra Resia e Moggio. Ricordi di quei primi anni? Quando è scattata la scintilla per lo sport? C’è una figura in particolare in quel periodo a cui senti di dire grazie?

Sì, certo. Ricordo che la prima volta che ho approcciato a una competizione è stato in prima media; una garetta di corsa campestre, organizzata dalla scuola della Valle, alla quale, come osservatore e cercatore di promesse, aveva presenziato il mitico Gino Pugnetti. Era andata bene: l’orgoglio personale sopraffece la palese mancanza di allenamento nella corsa e vinsi. Cominciò tutto così, tra il gioco e l’avventura. Non fosse stato per Gino, la sua Santa pazienza, la sua capacità di guardare oltre e di intuire le potenzialità di ogni atleta, non avrei nemmeno continuato. L’impegno era comunque tanto, tra la scuola (a tempo pieno), gli allenamenti, gli spostamenti. Non è facile per una ragazzina doversi organizzare le giornate perché tutto funzioni. La presenza di Gino è stata importante. È proprio a lui la persona a cui devo dire grazie.

La tua famiglia quanto è stata importante nelle tue scelte sportive?

La mia famiglia più che indirizzarmi nelle scelte ha sostenuto la mia creatività e la voglia di fare. Avevo un’idea, dei principi, un caratterino spigoloso e tanta, tanta determinazione. Poi mi piaceva provare. Capire cosa ero in grado di fare. Dov’erano i limiti. Non avrei potuto sperimentare tanto senza la presenza dei miei più grandi tifosi in casa. Più che nelle scelte, la mia famiglia mi ha dato la forza di affrontare lo stress correlato all’attività sportiva e alla scuola, perché ovviamente in entrambi i casi si richiedeva impegno e disciplina. Mi ha motivato ed incoraggiato. Ecco, di questo sono molto grata. Nessuno può pensare di farcela da solo. 

Quando hai cominciato a fare i primi lanci sul serio?

Come accennato, tutto è cominciato con la corsa. Poi sono cresciuta e ho approcciato alle prove multiple, anche in questo caso con un certo e inaspettato successo. In quel contesto cominciai a prepararmi ai lanci, in particolare al getto del peso e al lancio del disco. Qualche esperimento di giavellotto, ma non era cosa mia. Mi è piaciuto. Ho affinato poi la tecnica e anche qui ho trovato soddisfazione. Mi scaricava e allo stesso tempo mi dava concentrazione. Arrivati i primi risultati non ho più mollato. E poi, ho avuto la fortuna di essere parte di un fantastico gruppo di lanciatori. Eravamo mediamente forti e questo ci motivava. Penso che ognuno di noi abbia un po’ contribuito alla crescita dell’altro. Ci sfidavamo, ci prendevamo in giro, sdrammatizzavamo la fatica e gli insuccessi. Forse così ho cominciato a lanciare sul serio. Da quando mi sono sentita parte di qualcosa di più grande.

Lanciatori si nasce o si diventa? Si può migliorare in questa disciplina o è una questione genetica?

Bella domanda. La componente fisica è quella su cui si tende a lavorare maggiormente. Si pensi alle sollecitazioni che il corpo subisce nei centesimi di secondo che intercorrono dalla fase di preparazione al lancio vero e proprio. Quindi l’essere fisicamente preparati è necessario, soprattutto se si intende competere a certi livelli. Da questo punto di vista è chiaro che una genetica favorevole avvantaggia i fortunati. Però è anche vero che un atleta si costruisce, con l’allenamento, con la forza, ma anche con la testa. La componente psicologica tanto in fase di preparazione quanto in gara è essenziale. Alle volte determinante. Lo stesso termine “disciplina” ce lo fa capire. Nei lanci, come in altre discipline tecniche, appunto, la resistenza o la forza esplosiva deve essere abbinata alla tecnica, che non può essere separata da uno stato mentale favorevole, che porti a reagire positivamente allo stress. Il bilanciamento migliore lo si ottiene solo l’esperienza e il tempo. Chiunque può farcela, se ci crede davvero.

I lanci sono una disciplina che si gioca sul filo dei centimetri, richiede una concentrazione e una motivazione non indifferente. Per te era tutto naturale oppure hai dovuto imparare a gestire questo aspetto?

Negli sport più tecnici, dove anticipare, ritardare o sbagliare di poco un movimento, può fare la differenza di metri nel risultato, è chiaro che la componente psicologica abbia una rilevanza sostanziale. Dove le emozioni hanno avuto la meglio, ho avuto dei down eclatanti, su cui ho dovuto lavorare molto, tante volte ripartendo da zero. Ciò mi ha dato l’umiltà di comprendere che in quanto esseri umani possiamo fallire, ma anche la consapevolezza che ci si può ricostruire, facendo leva sulle lezioni apprese, uscendone, magari, anche più forti di prima. Certo ora esistono i “mental-coach”, ma non credo che tutti gli atleti possano avere la possibilità di affidarsi a un professionista per sbloccare il livello e crescere. All’epoca ho dovuto farcela credendo in me stessa e affidandomi all’affetto delle persone che mi erano vicine.

Veniamo a quel giorno del 2001 a Isernia, quando il tuo lancio ti ha fatto vincere il titolo italiano. E’ stata una sorpresa oppure sapevi di essere competitiva? Cosa ricordi con maggior affetto di quel giorno? Raccontaci le emozioni che hai vissuto

La cosa che ricordo in maniera abbastanza vivida è stata la reazione alla vittoria. Mi ci è voluto un po’ per realizzare quanto avevo fatto. Quando lo raccontai mi dissero “hai vinto gli italiani e lo dici come se fossi andata a comprare il pane!”. Non è stato semplice anche se mi sentivo bene. C’ erano un paio di ragazze, molto brave, che mi hanno dato filo da torcere, ma quel giorno ce l’avevo. È stato il momento di apoteosi, dopo un periodo di allenamento pesante ma ben strutturato. Con la consapevolezza di aver fatto un bel lavoro nelle ultime settimane, ho respirato e ho osato, al limite dell’errore tecnico. All in! Mentalmente non mi sono discostata dallo stesso stato d’animo che avevo nelle sessioni di allenamento, tanto da associare quella giornata a una delle tante giornate passate tra Moggio e Gemona. E’ andata bene.

Hai vinto tante gare, ce n’è qualcuna in particolare che ti porti dentro più delle altre? E tra le sconfitte qualcuna che non ti è andata proprio giù?

Per fortuna ho solo ricordi positivi, anche quando le cose non sono andate come avrei desiderato. Con il tempo ho capito che non serve portare rancori o incolparsi degli insuccessi. Lo sport dona qualcosa di decisamente più importante della competizione e delle stesse vittorie. Parlo delle relazioni umane e dell’amicizia. Ho mantenuto i contatti con molte atlete e atleti con cui ho condiviso momenti importanti. Qualche volta ci sentiamo ancora e se ci troviamo è sempre una festa. 

Il tuo percorso formativo ti ha portato a fare l’Accademia dell’Esercito, complimenti!! Ti ha aiutato lo sport nella scelta del tuo futuro? In che modo?

Pensandoci lo sport non è stato determinante nella scelta a monte del mio futuro professionale. Posso però affermare con certezza che il passato agonistico mi ha dato la giusta confidenza, gli stimoli e il corretto approccio per affrontare con successo le sfide quotidiane. L’atletica, e lo sport in generale, quello sano, quello vero, ti mette costantemente alla prova. Mette ogni atleta nelle condizioni di comprendere i propri limiti e i punti di forza per crescere e migliorare. Ti insegna a competere usando solamente le capacità di cui disponiamo e l’esperienza, senza scorciatoie o sotterfugi. Non solo. Ti fa comprendere l’importanza di valori nobili, spesso scontati, quali ad esempio l’amicizia, la solidarietà, il rispetto per l’avversario.  Qualunque siano le scelte lavorative o di vita che si possano affrontare, un atleta non può che essere avvantaggiato, almeno da questo punto di vista.

Il Gruppo Atletica Moggese festeggia il 50°anniversario di fondazione. Un tuo pensiero.

Già 50? Corre il tempo! Non posso che fare i miei complimenti a Voi, che ancora oggi con passione mandate avanti un progetto nato in un altro periodo storico, con le risorse a disposizione che, permettetemi, non sono le stesse delle grosse società sportive, e in un contesto geografico non sempre facile. E’ evidente che ci sia qualcosa di più, un qualcosa di unico, che mantiene così viva la Moggese ancora oggi. Dimostrate che sono le persone a fare la differenza. Quelle che con impegno, passione e forza di volontà continuano a lavorare per gli altri. Per la comunità. Bravi!

Cosa ti senti di dire ai ragazzi del G.A Moggese che oggi si avvicinano allo sport?

Per prima cosa, in bocca al lupo! Già approcciarsi allo sport non è cosa da tutti. Affrontarlo con serietà, ancora meno. Per me già sono già eroi prima ancora di mettersi in gioco nella prima gara. Consiglierei loro di provare, di divertirsi e di non porsi limiti, con la convinzione che, quando saranno più grandi, guardando in dietro ci saranno solo bei ricordi e soddisfazioni. Avere la possibilità di fare sport per tanti è un privilegio. Per tutti è un’occasione unica per dimostrare al mondo chi siamo e quanto valiamo. Non spaventatevi, non vergognatevi, OSATE!